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HOUSE OF GUCCI – MERCOLEDI’ 30 MARZO
30 Marzo 2022 alle 21:0023:30
MERCOLEDI’ 30 MARZO
Proiezione unica: ore 21.00
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Regia: Ridley Scott
con: Lady GaGa, Adam Driver, Jared Leto, Jeremy Irons, Al Pacino, Camille Cottin.
Genere: Drammatico
Durata: 158 minuti
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Recensione di Pedro Armocida
Anni ’70. Patrizia Reggiani conosce a una festa Maurizio Gucci, rampollo della dinastia Gucci, una tra le piu` celebri nel mondo della moda. Nasce una storia d’amore, dapprima osteggiata dal patriarca della famiglia, Rodolfo Gucci, ma poi arriva il matrimonio e la prole. La sfrenata ambizione della donna, che vorrebbe indirizzare le politiche aziendali del marchio Gucci, la porterà a tessere spericolate strategie, come quelle con lo zio del marito, Aldo Gucci, che incrineranno i rapporti familiari, innescando una spirale incontrollata di tradimenti, decadenza, vendette. Fino a un tragico epilogo che è cronaca nera, e vera, del nostro paese.
La nuova parabola sul potere di Ridley Scott è un fiammeggiante melodramma su una famiglia che implode. Una discesa agli inferi sostenuta da eccellenti prove attoriali, in primis quella di Lady Gaga.
House Of Gucci è la telenovela della dinastia Gucci oppure la dinastia Gucci è la telenovela di House Of Gucci? Insomma sì, naturalmente, tutt’e due le cose perché il film di Ridley Scott è una vera e propria soap su una realtà che ne aveva tutti i caratteri. In questo senso il regista britannico, che ha appena compiuto 84 anni, firma un film libero e molto contemporaneo che dialoga con il suo recentissimo The Last Duel per il discorso sul potere in cui, a prescindere evidentemente dal capitalismo finanziario comunque vivisezionato nel precedente Tutti i soldi del mondo, il pesce piccolo è mangiato dal più grande anche, soprattutto?, in ambito familiare (ogni accenno a Il Padrino è voluto).
Ed è proprio su questo aspetto, sulla trinità “nel nome del padre, del figlio e della famiglia Gucci”, che il film si concentra. I meccanismi messi in moto da una grande azienda, ma a carattere familiare, vengono minuziosamente smontati da Ridley Scott che si abbandona completamente, essendone però l’artefice, al lavoro degli attori.
La macchina da presa segue Lady Gaga, lacca in testa, diventare Patrizia Reggiani e prendersi così tutto il film, ogni sequenza, ogni primo piano con quei fulminanti lampi negli occhi. È l’attrice perfetta che abbiamo conosciuto in A Star Is Born e che dimostra enormi potenzialità se solo lasciasse perdere la musica.
In questo straordinario lavoro attoriale, Adam Driver, pur nella sua ricercata impassibilità, dà spazio e apertura al personaggio di Maurizio Gucci e alla sua parabola trasformista. Anche l’interpretazione più ‘pazza’, quella parodistica e autofarsesca di Jared Leto che, invece di parlare, quasi canta come se stesse in un’opera buffa (peraltro la musica nel film è un vero e proprio personaggio), ha il suo motivo d’essere perché, nel ruolo tragico del figlio idiota – “ma è il mio idiota” dice di lui il padre Aldo Gucci interpretato da un gigantesco Al Pacino che duetta con Leto come se stessero al Saturday Night Live -, sta raccontando i discendenti di seconda e terza generazione che non sono mai al livello dell’avo, capitano d’industria.
Ma lo sguardo di Scott sui Gucci è ancora più profondo, perché ci mostra un’intera famiglia immobilizzata, congelata, legata a un passato glorioso ma irrimediabilmente superato. Complice anche l’assenza di un vero e proprio leader: Aldo Gucci è alle prese con il piccolo cabotaggio di controllo del commercio delle imitazioni e prepara lo sbarco nei centri commerciali, mentre il fratello Rodolfo Gucci, interpretato sottilmente da Jeremy Irons, vive la sua distanza finto aristocratica da tutto e da tutti: «Gucci è da museo non da centro commerciale». E infatti «nessuno oggi vorrebbe lavorare da loro» si sente dire Maurizio Gucci a una sfilata. Per questo è uscito, proprio come il genio dalla lampada, come direttore creativo lo sconosciuto texano Tom Ford che, appena esordisce con successo sulle passerelle, la prima cosa che fa è telefonare alla mamma a Austin.
Prende così sempre più forma, nella sceneggiatura di Becky Johnston e Roberto Bentivegna dal libro di Sara Gay “Forden House of Gucci. Una storia vera di moda, avidità, crimine” (Garzanti), il personaggio di Domenico De Sole, l’avvocato di famiglia che sfilerà ai Gucci l’impero attraverso gli investitori iracheni. Tutto, a questo punto, in House Of Gucci si fa fiammeggiante melodramma imploso, i colori della fotografia di Dariusz Wolski, per la verità mai sgargianti, si ingrigiscono. Le vite ingabbiate, per via dei ruoli sociali, lo diventano realmente: Aldo Gucci finisce in carcere per evasione fiscale, Maurizio Gucci entra e esce dalle porte girevoli della sua stessa azienda in due sequenze speculari mirabilmente ritmate dal montaggio di Claire Simpson e Patrizia Reggiani prenderà la decisione finale che qualsiasi soap se la sogna.
Un viaggio, dalla seduzione all’odio, in meno di 30 anni, una discesa agli inferi rispecchiata con ironica tragicità nelle due ore e trentotto di questo film che è tutto una sorpresa.
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